
Madagascar 2025
Martedì 2 settembre, sera. All’aeroporto di Fiumicino si incontra uno dei tanti gruppi in partenza: chi va in vacanza, chi va a incontrare amici o parenti, chi ha meeting di lavoro… il nostro gruppo parte per un viaggio missionario in Madagascar. È un gruppo eterogeneo, 13 persone dai 19 agli 84 anni che comprende 7 giovani; alcuni sono alla prima esperienza del genere, altri hanno già vissuto anche più volte l’emozione di una visita alle missioni.
Ma partiamo da alcuni commenti a caldo da parte di tre partecipanti, che in qualche modo incorniciano il viaggio:
Il primo impatto è stato decisamente forte, molto più di quanto mi aspettassi. Non avevo mai visto una realtà del genere e non è facile da mandare giù. Il viaggio dall’aeroporto alla casa delle suore è stato un’altalena di emozioni, quando abbiamo visto la carne appesa con insetti e mosche che vagavano intorno ad essa, quando abbiamo visto un bambino di non più di 5 anni da solo, avvolto in una coperta a chiedere l’elemosina sul ponte, quando abbiamo visto il traffico (neanche paragonabile a quello europeo), quando abbiamo annusato quegli odori, un po’ smog e un po’ carne avariata, o quando abbiamo visto le coltivazioni di riso, dove lavoravano dei bambini. E questo è stato solo il primo impatto, quei primi 45 minuti di macchina. Nei giorni successivi il surreale è aumentato. (Gaia, 22 anni)
“Ero ricco e non lo sapevo”
Io nel mio stato attuale mi reputo benestante in confronto alla mia infanzia, decorosa per carità, ma molto spartana. Vengo da una famiglia contadina trasferitasi a Roma, mio padre lavorava nei cantieri edili come manovale, le risorse erano quelle che erano, nonostante tutto c’era un pranzo ed una cena, vestitini puliti cuciti da mia madre, le scarpe si compravano quando le vecchie erano proprio arrivate; quindi non appartenevo alla così detta classe media ma neanche alla povera, ero nel limbo di chi contava gli spiccioli per vivere.
Ora dopo questa esperienza in Madagascar posso dire veramente che ero ricco anche allora e l’ho scoperto a 68 anni. (Paolo)
In quei giorni ho capito che il cuore si allena davvero solo quando si lascia toccare da volti concreti, da storie che non ti lasciano indifferente. Ogni sorriso di quei bambini era un invito ad aprire il cuore; ogni sguardo di quelle madri era una chiamata a non voltare il proprio, ma a riconoscere la bellezza che resiste anche dentro la povertà. Ho sentito che la fraternità non è un’idea astratta, ma prende carne proprio lì, dove un cuore si apre e uno sguardo sceglie di restare.
Il Madagascar mi ha insegnato che la ricchezza più grande non si misura con ciò che si possiede, ma con la capacità di donarsi; non si trova nei beni, ma nei legami. E così, tornando a casa, porto con me la certezza che cuore e sguardo, se vissuti nella loro autenticità, possono davvero trasformare non solo i rapporti personali, ma l’intera società: perché ogni incontro può diventare un seme di fraternità che germoglia ovunque. (Marta, 36 anni)
Potete leggere qui le testimonianze complete.
Torniamo al nostro viaggio, la cui tappa principale è Ampitatafika, un sobborgo alle porte della capitale Antananarivo, dove siamo accolti dalle Maestre Pie Venerini che mettono tutto il loro amore e il loro entusiasmo nell’accogliere un gruppo così numeroso: improvvisamente raddoppiano gli abitanti della loro casa! Nonostante questo siamo alloggiati abbastanza comodamente, anche se una delle sale normalmente destinata agli incontri è trasformata in camera da letto. Per noi il disagio più grande è la mancanza dell’acqua corrente, ma in cortile ci sono i fontanili per rifornirsi di secchi d’acqua e in cucina c’è sempre qualche pentolone d’acqua calda da prendere per lavarsi. Condividiamo la vita semplice, collaborando in cucina sia per preparare i pasti sul fuoco a legna che per lavare i piatti; chi vuole si unisce alle preghiere in cappella che in questi giorni sono in italiano, per aiutarci.
La comunità è formata da quattro suore malgasce, guidate da suor Alfonsina che ha studiato in Italia come una delle consorelle, e da tante ragazze in formazione: alcune faranno i loro voti l’anno prossimo, alcune sono appena arrivate, ma sono rappresentati tutti i diversi momenti del percorso di formazione. Sono piacevolmente sorprese dal nutrito gruppo di giovani perché si aspettavano tutti adulti; capiscono solo poche parole d’italiano, ma è quasi sempre facile comprendersi gesticolando o indicando, con la forza che viene dalla buona volontà.
Il giorno dopo il nostro arrivo siamo coinvolti nella festa organizzata per una settantina di bambini che da lunedì inizieranno ad andare a scuola: sono i ragazzi di strada che l’anno scorso hanno frequentato le attività prescolari per tre giorni a settimana, la mattina presto e poi nel pomeriggio. Ragazzi di strada, perché vivono tutto il giorno per la strada aiutando i genitori in piccoli commerci, cercando cibo nella spazzatura, andando a lavorare nelle risaie… Per loro sarebbe impossibile rimanere ore seduti in aula e non sarebbero accettati dai coetanei più fortunati, sono troppo sporchi e vestiti di stracci. A questo serve il percorso pedagogico ideato dalle suore e che dura da uno a due anni: un progressivo avvicinamento alle condizioni minime per la scolarizzazione fatto con giochi, tempo dedicato al disegno e alla pre-scrittura per abituarsi ai banchi, un’educazione all’igiene del corpo e degli abiti. Parallelamente si parla coi genitori per far capire l’importanza dell’istruzione e rassicurarli su un supporto economico per le varie spese. Quando i bambini sono pronti li si iscrive alla vicina scuola pubblica, con la quale le suore hanno fatto un accordo di collaborazione.
I bambini arrivano alla spicciolata, si gioca fino a che non sono tutti, poi suor Alfonsina ci presenta e riceviamo in dono una collana di fiori. Cantiamo e balliamo tutti insieme, alternando canzoni italiane ad altre locali, poi i bambini salgono nelle aule suddivisi in tre gruppi in base all’età: piccoli, grandi e medi. Ognuno riceve in dono uno zainetto, quaderni e penne, una lavagnetta ai più piccini e poi dei vestiti che abbiamo portato noi, frutto di raccolte nelle parrocchie o tra amici e parenti. La maggior parte dei bambini sono molto felici, solo qualcuno è spaventato dall’incontro con questi stranieri dall’aspetto strano che non sanno parlare in modo comprensibile.
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La distribuzione di zaini e quaderni che poi i bambini hanno portato a “casa” |
Nel pomeriggio incontriamo le gestanti, perché oggi è arrivato un medico in grado di utilizzare l’apparecchio per ecografie ricevuto in dono tempo fa. Sono una decina di donne dai 18 ai 28 anni; alcune attendono il primo figlio ma la più “anziana” è già al settimo. Questo piccolo ambulatorio è aperto un giorno a settimana e il medico richiede solo un piccolo contributo per la sua attività. In questo modo il costo di un’ecografia è molto più basso che in ospedale e alle donne è richiesto di partecipare al 50%, il resto è pagato dalle suore. In Madagascar si deve pagare per qualunque prestazione sanitaria e sono poche le donne che andranno a partorire in un piccolo dispensario qui vicino, la maggior parte si affiderà a mamma Maria, un’anziana levatrice; nessuna andrà in ospedale.
Il giorno dopo incontriamo un altro gruppo di donne, che stanno frequentando un corso di formazione condotto nei locali della missione. Ogni anno si tiene almeno un corso, variando l’argomento per dare più possibilità di intraprendere una propria attività e guadagnare qualcosa: corsi di cucito, fabbricazione di saponi liquidi e solidi, confezione di tappetini… Quest’anno è stata coinvolta una parrucchiera che sta insegnando il mestiere a una quindicina di donne e ragazze che sperano di poter poi aprire un piccolo locale o trovare impiego in un negozio già avviato e migliorare così le condizioni economiche della propria famiglia.
Siamo arrivati al sabato, che qui è sempre un giorno molto impegnativo perché coinvolge oltre 500 bambini e ragazzi dai 3 ai 14 anni che vivono nei dintorni. Sin dal giorno precedente si inizia a lavorare per preparare il pranzo: riso bollito, fagioli e un po’ di pollo. La mattina si sente il vociare fuori del cancello molto prima dell’orario dell’appuntamento, ma si fanno entrare solo i volontari che vengono a dare una mano. All’ora giusta una valanga di bambini entra in cortile, pronti a una giornata all’insegna dell’amicizia, del gioco, della condivisione.
Dalla confusione dei giochi e dei canti si passa quasi improvvisamente alla formazione di vari gruppi per età, perché questo è il programma di ogni sabato e la macchina organizzativa è ormai ben rodata. In ogni angolo di cortile o aula si svolge un incontro formativo guidato da una delle ragazze che vivono qui con le suore: si parla di amicizia, di rispetto, di amore… Segue un altro momento ricreativo, sempre gruppo per gruppo, che animiamo noi del Gruppo India mettendo alla prova la nostra inventiva e la capacità di comunicare. Poi i ragazzi tornano a lavorare con la novizia o postulante per preparare ognuno un cartellone che rispecchi il tema scelto.
Si torna in cortile per lavarsi le mani e sedersi ordinatamente per terra, dopodiché inizia la distribuzione del pranzo con una catena umana che fa arrivare i piatti ricolmi ai bambini. Il tutto molto tranquillamente, nessuno protesta perché il piatto del vicino è più pieno o perché deve attendere, neanche i primi che si sono seduti e che saranno gli ultimi a essere serviti. Il pomeriggio è interamente dedicato al divertimento, con giochi e balli di gruppo, mentre noi laviamo l’enorme quantità di stoviglie utilizzate (alcune sono delle Venerini, altre sono chieste in prestito ogni settimana per poter servire tutti).
La domenica è un giorno di partenze: due di noi iniziano un lungo viaggio alla volta di Benenitra per visitare la missione di padre Jeannot, altri due prendono il volo verso una delle più belle spiagge del Madagascar.
Chi rimane ad Ampitatafika continuerà a condividere le attività delle suore, sperimenterà le capacità delle aspiranti parrucchiere facendosi fare le treccine o un lavaggio di capelli, sarà accompagnato in un giro turistico di Antananarivo e di un parco naturale nelle vicinanze. Poi partiranno verso Andina, un’altra missione delle Maestre Pie Venerini in un paese in montagna a circa 160 chilometri di distanza, e lungo la strada saranno raggiunti anche da chi è rientrato da Benenitra.
Andina è una realtà diversa, dove le suore gestiscono una scuola diocesana dalla materna alla secondaria. Bambini e ragazzi vivono ad Andina o in altre località più o meno vicine: sono tanti quelli che fanno ogni giorno molta strada a piedi per raggiungere la scuola, anche tre ore a piedi all’andata e altrettante al ritorno; alcuni abitano ancora più lontano, ma dal lunedì al sabato alloggiano in paese presso famiglie che li ospitano o anche affittando una stanza in piccoli gruppi e gestendosi da soli. I più lontani impiegano 6 ore per rientrare a casa propria. I ragazzi ci aspettavano prima del termine delle lezioni ma l’autista del nostro pulmino ha sottovalutato il tempo necessario per arrivare e così troviamo solo lo striscione di benvenuto. Tutto è rimandato alla mattina dopo, venerdì, quando le lezioni terminano alle 11: è giorno di mercato e molti uomini si danno al bere e diventano un pericolo per i bambini; bisogna permettere a tutti di rientrare a casa o almeno allontanarsi dal paese prima che la situazione degeneri.
Venerdì mattina facciamo il giro delle classi, parliamo un po’ con i più grandi e proponiamo canzoncine ai più piccini. In ogni classe aiutiamo a distribuire del succo di frutta e un pezzo di pane per la merenda o per sostenersi lungo il ritorno.
Subito dopo pranzo partiamo anche noi, perché qui le distanze non si misurano in chilometri ma col tempo necessario a percorrerli che è molto influenzato dallo stato delle strade. Il nostro viaggio, già lungo, lo sarà ancora di più a causa di un guasto a una balestra che ci blocca per più di un’ora quando è già notte. Per fortuna il nostro autista riesce a fare una riparazione di fortuna che ci consente di rientrare ad Ampitatafika verso le 2 di notte.
Nel frattempo sono rientrate anche le ragazze che erano andate al mare e il sabato è una giornata di riposo prima di intraprendere il viaggio di ritorno verso casa. Questa settimana salta la giornata dedicata ai bambini e ci sentiamo un po’ in colpa per averli privati dei giochi, della formazione, del pasto…