Madagascar Benenitra 2025
Un viaggio nel viaggio, ecco cosa è stata la visita a Benenitra e dintorni, dove opera padre Jeannot Randrianarison sj. Non solo in senso geografico, perché è stata un’avventura che ci ha toccato nel profondo, un incontro con una realtà che potevamo solo lontanamente immaginare, la scoperta di un gesuita che ha richiamato vivamente in noi la figura di padre Pesce…
Benenitra è una cittadina nel sud del Madagascar, all’interno, lontana da tutto. L’aeroporto più vicino, Tulear, è a 200 chilometri ma qui le distanze devono essere misurate con il tempo di percorrenza: 9 ore con un buon fuoristrada e condizioni meteorologiche ottimali. A Benenitra non arriva la posta, l’intero personale dell’ospedale è un medico, il gommista più vicino è ad almeno 4 ore di macchina, anzi di fuoristrada. Siamo arrivati fin laggiù solo grazie a padre Jeannot che è venuto a prenderci a Tulear, ci ha accompagnati due giorni in giro per i villaggi dei dintorni, e poi ci ha riportati in aeroporto, sempre più che attento perché non ci mancasse nulla, cosciente che noi non eravamo abituati a questi ritmi e condizioni di viaggio. Eravamo in formazione ridotta, solo in due, perché sin da quando abbiamo cominciato a pensare a questa deviazione dall’itinerario iniziale ci siamo resi conto delle grandi difficoltà logistiche.
Il rapporto di fiducia che avevamo con p. Jeannot, basato sullo scambio di email e l’arrivo regolare dei suoi rendiconti dopo ogni aiuto del Gruppo India, è diventato ben presto di amicizia. Come non voler bene a quest’uomo di 60 anni, che ne dimostra 20 di meno, che ci tiene a dimostrare che ha speso bene ogni singolo euro che ha ricevuto, che vuole conoscere di più la vita di padre Pesce ma che dimostra di averne ben compreso lo spirito quando ci confida che dopo più di 10 anni passati qui, quasi in isolamento, vorrebbe essere trasferito ma che non lo farà fino all’arrivo di un degno successore perché “Io, i miei poveri non li lascio”?
Questo racconto non può essere una cronistoria, è una raccolta di emozioni, di riflessioni, di immagini che si sono scolpite nei nostri cuori. Il primo giorno, una domenica, ci hanno accolto a Tulear anche due ragazzi molto giovani, Nicolas e Augustin, appena diplomati, che avevano fatto un breve corso di formazione e il giorno dopo avrebbero dato il via a una scuola ad Ankilimary, uno dei tanti villaggi intorno a Benenitra. Due giovani dalla faccia pulita, che hanno viaggiato tutto il tempo nel cassone del fuoristrada perché all’interno c’era solo un posto accanto al guidatore e già ce lo spartivamo in due. Dopo solo un paio di ore erano completamente coperti di polvere e non sappiamo come abbiano potuto resistere ai contraccolpi delle tante buche che costellano la strada: noi le vedevamo, ci preparavamo, ma saltavamo sul sedile. E loro? Eppure hanno conservato il loro sorriso fino alla sera, quando li abbiamo lasciati a pochi chilometri da Benenitra. Lì ci ha raggiunti una coppia, a piedi, che aveva il compito di accompagnarli fino ad Ankilimary e non sapevano dove avrebbero dormito, dove e come il giorno dopo avrebbero potuto fare lezione: c’era qualche locale disponibile? o si sarebbero dovuti accontentare dell’ombra di un albero?
Li abbiamo ritrovati il mercoledì, subito prima di tornare a Tulear, in compagnia di Lara, una terza maestra anche lei giovanissima anche se già con un po’ di esperienza. Quella ad Ankilimary è stata una visita piena di gioia. Siamo stati accolti da una grande quantità di bambini tutti felici ed emozionati. Gli era stato detto di salutarci con un bonjour e una stretta di mano e tutti loro l’hanno fatto, emozionatissimi. Ci siamo ritrovati circondati da centinaia di manine che si protendevano verso di noi: alcune pulite, altre un po’ appiccicose. Per fare prima ho provato a stringerne due tre insieme, ma inutile, continuavano a tenderle, ognuno voleva la sua stretta di mano personale. Poi siamo corsi insieme verso la scuola… Sì, una scuola c’era, costruita dallo stato ma mai aperta perché nessun insegnante pubblico accetta un incarico quaggiù. Due edifici, ognuno con tre locali, per la scuola primaria. Uno dei due è rimasto gravemente danneggiato per un ciclone, che l’ha scoperchiato portandosi via una buona metà del tetto. Solo questo è stato messo a disposizione per la scuola di padre Jeannot e anche noi ci siamo entrati, un po’ preoccupati, ma come potevamo mostrarlo a questi bambini coi loro volti illuminati dalla possibilità di studiare? Il loro entusiasmo ha travolto anche il sindaco, che ha donato un terreno su cui costruire una nuova scuola e già molti uomini del villaggio si erano messi all’opera bruciando la sterpaglia per preparare il suolo per la costruzione. Speriamo che questo sogno si realizzi presto, perché per fare un buon edificio non bastano le risorse locali: le loro povere case in paglia, fango e qualche asse di legno durano 3-4 anni al massimo, poi devono essere ricostruite.
Questi giovani insegnanti sono solo alcuni dei ragazzi che incontriamo nel nostro viaggio. Padre Jeannot si è circondato di giovani che danno una mano in tanti modi. Ogni volta che ci muoviamo c’è qualcuno che viaggia nel cassone, pronto a scendere per colmare una buca troppo profonda, spostare un masso, indicare la giusta direzione correndo davanti a noi quando la strada, o meglio la pista, diventa invisibile e padre Jeannot non trova i punti di riferimento. Lo aiutano caricando e scaricando il fuoristrada, facendo da guardie notturne vicino al foyer di Sant’Anna che accoglie le ragazze venute dai villaggi per studiare al Collège di Benenitra. Sono un segno di speranza per il futuro, ragazzi cresciuti con un buon esempio e che si impegnano per rendere migliore il mondo in cui vivono.
Un’altra esperienza travolgente è stata quella di Andranomanitsy, un villaggio poverissimo: avevamo già visto altri villaggi e ci sembrava che fosse impossibile vivere in condizioni ancora più disagiate e invece… Qui non c’è nulla, poche capanne di fango con il tetto tenuto fermo dai sassi, un’erta scoscesa e ricoperta di cespugli dove tutti vanno a fare i propri bisogni, un solo albero che con la sua ombra segna il punto di raccolta della popolazione. E anche qui un numero impressionante di bambini, tutti sporchi, con pochi straccetti laceri addosso che padre Jeannot gli toglie senza tanti complimenti per rivestirli con quelli che noi abbiamo portato dall’Italia o che lui ha potuto comprare con i soldi donati dal Gruppo India. Inutile dire che nessuno indossa un paio di mutandine e che quindi la vestizione di ogni maschietto è accompagnata da uno scroscio di risate; più delicatamente le bambine ricevono gli abiti nuovi e si limitano a pavoneggiarsi drappeggiandoseli davanti. Oltre ai doni per i bambini ci sono anche coperte per i più anziani, perché di giorno si superano i 35 gradi, ma l’escursione termica è notevole e le notti invernali fredde; come ripararsi in una capanna?
Un pomeriggio lo dedichiamo alla visita di Benenitra, il centro principale, ma anche qui regna la povertà. Le scuole pubbliche sono quasi sempre chiuse (solito problema di personale), chi può manda i propri bambini alla scuola delle suore per la primaria e poi al Collège Saint Jacques Berthieu S.J. creato da padre Jeannot che ne è il direttore. Certo, in entrambe le scuole sono accolti anche bambini e ragazzi di famiglie povere ma non si riesce a soddisfare tutte le necessità. Padre Jeannot ci porta anche all’ospedale, l’ingresso del Pronto Soccorso è aperto, ma dentro non c’è nessuno… continuiamo a girare e finalmente troviamo una ragazza ricoverata che è stata operata di recente al collo. Ha una flebo al braccio e le fa compagnia un giovane. Ci racconta che il dottore è dovuto andare via e tornerà solo il giorno dopo. Questo medico è l’unica persona in servizio e facciamo fatica a immaginarlo mentre opera e deve fare da chirurgo, anestesista, ferrista… così i punti piuttosto irregolari sulla sua paziente trovano una spiegazione; ma chi le cambierà la flebo? Eppure lei ha dovuto pagare per ricovero e operazione, perché in Madagascar non c’è sanità pubblica.
Ci sarebbe molto altro da raccontare di questi pochi ma intensi giorni a Benenitra, e chi vuole può trovare altri echi nella lettera-racconto qui allegata. Ma è giusto chiudere con un grande grazie a padre Jeannot e ai “suoi ragazzi” che ci hanno accompagnati alla scoperta di quest’angolo sperduto. Un grazie non solo per come ci hanno quasi coccolati durante la nostra permanenza, ma soprattutto per l’amore che dimostrano concretamente verso i poveri, per quanto li sentono vicini, fratelli, altri se stessi che non possono essere abbandonati nonostante tutte le difficoltà che questo comporta. Grazie per l’esempio che ci avete dato!
